Il riciclo delle batterie per l’accumulo fotovoltaico

La Direttiva 2006/66/CE si rivolge ai Paesi dell’Unione Europea affinché si impegnino alla raccolta e al riciclo delle batterie e degli accumulatori.

L’obiettivo è di puntare al recupero di almeno il 50% del peso del prodotto originale, percentuale che può anche arrivare al 75% a seconda delle modalità di ricezione della Direttiva.

Questa iniziativa è stata lanciata ormai più di 10 anni fa, ma è tutt’ora un tema di grande attualità per diversi motivi.

Sicuramente l’esigenza del riciclo era molto più sentita nel decennio scorso, quando abbondavano ancora batterie e sistemi di accumulo al piombo-acido: i loro componenti avevano un impatto più rilevante sull’ambiente, perciò era necessario incoraggiare l’adozione di procedure per recuperare più materiale possibile e prevenire contaminazioni e danni alla salute.

Oggi come in passato, le batterie al piombo-acido presentano problematiche non solo a livello ambientale: per esempio nel campo dei sistemi per l’accumulo fotovoltaico hanno prestazioni inferiori rispetto ad altre tecnologie. Osserviamo infatti che:

  • Sono particolarmente ingombranti e pesanti, presentando quindi sia problemi logistici per l’alloggiamento che un maggiore ricorso a materiali difficili da trattare;
  • Il numero di cicli di carica/scarica è limitato e quindi offrono prestazioni soddisfacenti per non più di 10 anni, costringendo l’utilizzatore a sostituirle e generando con più frequenza batterie esauste;
  • La profondità di scarica è di solo il 50%, vale a dire che viene utilizzata solo la metà della capacità reale.

A queste problematiche ha sempre corrisposto comunque un prezzo inferiore rispetto ad altri sistemi che ne ha spinto l’adozione.

In ambito fotovoltaico ci si è però orientati sempre di più sulle batterie agli ioni di litio, mentre il piombo-acido lo troviamo ancora ampiamente diffuso negli autoveicoli anche se, con l’avvento dei veicoli elettrici e ibridi, nei prossimi anni potrebbe verificarsi un’inversione di tendenza.

Tornando al tema del riciclo di batterie e sistemi di accumulo al litio: nonostante la Direttiva UE, tutt’ora il loro tasso di riciclo è di solo il 5%.

C’è anche da dire che i sistemi di accumulo al litio, soprattutto quelli con tecnologia al litio-ferro-fosfato, hanno un’aspettativa di vita molto più alta rispetta a quelli al piombo-acido: a seconda delle modalità di impiego e della tecnologia adottata, hanno una durata utile dai 20 ai 30 anni prima che sia necessaria la loro sostituzione.

Quindi, nonostante oggi esso sia un problema poco sentito, è ormai un imperativo individuare soluzioni per l’aumento del tasso di riciclo:

  • attualmente si utilizza la metallurgia estrattiva per il recupero dei metalli, ma è un processo poco efficiente e sostenibile;
  • i ricercatori stanno studiando nuovi solventi biodegradabili e riutilizzabili, capaci di alzare il tasso di recupero fino al 90%;
  • il Cobat (Consorzio nazionale raccolta e riciclo) sta sviluppando un processo idro-metallurgico, che permette il recupero dei materiali con un costo e un impatto ambientale minore rispetto alle tecnologie attuali;
  • il riciclo diretto permette di estrarre l’intero catodo per coprirlo con un nuovo strato di litio;
  • le ‘second life applications’ vogliono riconvertire le batterie in dispositivi per il livellamento del carico elettrico sulle reti, individuando le celle con sufficiente capacità di carica residua e assemblandole in nuove unità.

Riciclo e riuso sono due facce della stessa medaglia per rispondere al problema della limitatezza delle risorse: si stima che ogni anno vengano estratte 35mila tonnellate di litio da una riserva globale di 18 milioni, e che servano circa 180 grammi di litio per kiloWatt di capacità della batteria; con la diffusione dei veicoli elettrici, in un futuro prossimo serviranno milioni di batterie all’anno, con il rischio di esaurire i depositi di litio nell’arco di pochi decenni.

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